Radicalizzazione e prevenzione: la relazione del Copasir e la proposta di legge n.243

È allarme radicalizzazione: è quanto emerge dalla relazione del Copasir ovvero il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Il fenomeno terroristico di matrice jihadista, a causa della sua dimensione globale, ibrida e multiforme – puntualizza il Comitato – continua ad essere una delle grandi sfide del mondo contemporaneo.

A conferma di ciò, i dati statistici del Dossier Viminale 2021: nel periodo 1° agosto 2020 – 31 luglio 2021, sono state effettuate 71 espulsioni e i foreign fighters monitorati sono 144. Per quanto riguarda la radicalizzazione in carcere, dal report “Comprendere la radicalizzazione jihadista. Il caso Italia” predisposto dalla European Foundation for Democracy e da Nomos Centro Studi Parlamentari nel 2019, risulta che su 60.000 detenuti 20.000 sono stranieri; di questi, 13.000 provengono da Paesi musulmani e 8.000 dichiarano di professare la religione islamica. Stando a dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia aggiornati al 15 ottobre 2021, nell’opera di prevenzione della radicalizzazione in carcere sono sottoposti a monitoraggio 313 detenuti suddivisi in tre livelli di attenzione in base alla pericolosità, 142 sono classificati di livello alto, 89 di livello medio e 82 di livello basso.

È innegabile che il fenomeno qui richiamato si presenti dalle diverse sfaccettature e dai contorni non sempre definiti. In tal senso, l’adesione al jihadismo continua a trovare un terreno fertile nel web, principale luogo di proselitismo, nonché nell’ambiente carcerario. Difatti, quest’ultimo rimane un contesto delicato in cui il processo di radicalizzazione può accelerare o partire da zero per i soggetti particolarmente sensibili. Oltretutto, l’ultima Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza al Parlamento, relativa all’anno 2020, rileva come la minaccia terroristica di matrice jihadista sul Continente europeo sia caratterizzata da “tratti prevalentemente endogeni e destrutturati, tradottasi in attivazioni autonome ad opera di soggetti nella maggioranza dei casi privi di legami con gruppi terroristici, ma da questi influenzati o ispirati“.

La lotta contro la radicalizzazione jihadista è una partita che si gioca su più piani: quello della prevenzione e quello della repressione. È chiaro che il contrasto a tale minaccia può avere successo solo se basato su misure reattive e misure preventive e di anti-radicalizzazione. Ebbene, attualmente è all’esame della Commissione Affari costituzionali della Camera una proposta di legge (Atto Camera n. 243) recante “Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento di matrice jihadista” che è in discussione congiuntamente con una proposta (Atto Camera n. 2301) per l’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni di estremismo violento o terroristico e di radicalizzazione di matrice jihadista. La suddetta proposta di legge riprende, come punto di partenza, il testo di una proposta della XVII legislatura il cui iter non si era concluso. All’articolo 1 la radicalizzazione viene definita “il fenomeno delle persone che, anche se non sussiste alcuno stabile rapporto con gruppi terroristici, abbracciano ideologie di matrice jihadista, ispirate all’uso della violenza e del terrorismo, anche tramite l’uso del web e dei social network“.

La proposta di legge n. 243 si pone l’obiettivo di disciplinare l’adozione di misure, interventi e programmi diretti a prevenire fenomeni di radicalizzazione e di diffusione dell’estremismo violento di matrice jihadista, nonché a favorire la deradicalizzazione e il recupero mediante integrazione sociale, culturale e lavorativa dei soggetti coinvolti. Essa prevede l’istituzione di un Centro nazionale sulla radicalizzazione, col compito di predisporre annualmente il c.d. Piano strategico nazionale di prevenzione dei processi di radicalizzazione e di recupero, il quale definisce i progetti, le azioni e le iniziative da realizzare per il perseguimento dei fini. Dopodiché la creazione di Centri di coordinamento regionali sulla radicalizzazione, con l’incarico di dare attuazione al Piano strategico nazionale. Ed infine l’istituzione del Comitato parlamentare per il monitoraggio dei fenomeni di radicalizzazione e dell’estremismo violento di matrice jihadista, con il dovere di presentare annualmente alle Camere una relazione con cui riferisce sull’attività svolta e formula proposte o segnalazione su questioni di propria competenza.

Emerge, pertanto, anche dall’analisi sintetica della suddetta proposta di legge, che occorre avvalersi di una pluralità di strumenti, non solo di politica repressiva, ma di strumenti che esigano un costante adattamento ed aggiornamento per reagire ad attacchi spesso realizzati con modalità e tempistiche imprevedibili. Le tre direttrici da cui muovere sono necessariamente la prevenzione, la repressione e la cooperazione. Le azioni di contrasto al terrorismo devono necessariamente coniugare questi tre ambiti.

Dal punto di vista degli strumenti repressivi, certamente variegati ed efficaci, occorrerà sempre un loro adeguato affinamento. In particolare, il Copasir condivide alcune osservazioni emerse durante le audizioni. A partire dalla constatazione che la sola detenzione di tale materiale, ad oggi, non è sufficiente a far scattare nessuna sanzione, richiedendosi invece la sua diffusione. È auspicabile, pertanto, che si introduca, ad esempio, una simile fattispecie di reato sul modello dell’articolo 600-quater c.p. sulla detenzione di materiale pedopornografico. Infatti, è fondamentale intervenire tempestivamente sui soggetti radicalizzati, data l’imprevedibilità delle loro azioni.

Il Comitato segnala l’esigenza urgente e non più dilazionabile di un intervento legislativo che doti il nostro Paese di una disciplina idonea a contrastare in modo più incisivo il crescente fenomeno della radicalizzazione di matrice jihadista, quale nuova frontiera della minaccia terroristica e rispetto alla quale la deradicalizzazione entra, a pieno titolo, tra le politiche di antiterrorismo, quale vero e proprio strumento securitario di controllo e di riduzione della minaccia eversiva e del reclutamento di cittadini europei da parte di organizzazioni terroristiche. È necessario dare vita a programmi culturali che sappiano disegnare percorsi di interrelazione tra religioni e culture. Le scuole, le carceri, i luoghi di aggregazione islamici sono i luoghi fisici della sfida, oltre al cruciale campo di battaglia è il web.

Ma senza alcun dubbio è improrogabile la predisposizione di misure preventive di protezione che, nel pieno rispetto delle garanzie costituzionali, siano in grado di fronteggiare le forme più aggressive di radicalizzazione di matrice confessionale. E, alla luce della portata globale e transnazionale della minaccia, tali iniziative devono necessariamente inserirsi in una rete di cooperazione interna tra gli operatori interessati ed internazionale tra i Paesi dell’UE. In tale direzione, la stessa Commissione europea si impegnerà a produrre, a breve, un Codice di cooperazione di polizia che, oltre a indicare una forma più incisiva di cooperazione tra le Forze di polizia europee, prevederà la creazione di una rete di operatori, tra cui Europol, che investighino a livello finanziario al fine di colpire i flussi che finanziano il terrorismo.

D’altronde, come conclude opportunamente il Comitato, “solo una strategia integrata – che affianchi misure reattive a quelle preventive e di anti-radicalizzazione – sarà in grado di contrastare efficacemente l’estremismo e la violenza terroristica”.

 

A cura di Angelica Abate.

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