Cass. Pen., Sez. I, sent. 21 ottobre 2021, n. 46021

OGGETTO: reclamo – modalità di perquisizione – accredito di somme di denaro ai detenuti da parte dei loro familiari – colloqui e corrispondenza nel regime detentivo differenziato

 

Con la presente sentenza la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dal ricorrente avverso l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Trieste in data 15/9/2020.

La giurisprudenza di legittimità è giunta a tale conclusione sostenendo l’infondatezza delle censure proposte per le ragioni che seguono.

La Corte, in primo luogo, ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale (Sez. 1, n. 35485 del 4/6/2014, Attanasio, Rv. 259774-01), secondo cui l’ordinamento penitenziario consente al detenuto di presentare reclamo avverso il provvedimento di applicazione di una sanzione disciplinare da parte dell’Amministrazione penitenziaria, ma non anche avverso il provvedimento che concede, ad essa, concreta attuazione. Infatti, né l’art. 14-ter, né le norme del regolamento di esecuzione prevedono l’attribuzione di alcun potere di sospensione al Magistrato di Sorveglianza.

Successivamente, la Corte di Cassazione, circa l’evenienza di poter dedurre questioni non devolute innanzi al primo Giudice, in sede di reclamo dinanzi al Tribunale di Sorveglianza, ha confermato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, ai sensi dell’art. 35-bis Ord. Pen., avendo il procedimento dinanzi al Tribunale di Sorveglianza natura impugnatoria, il detenuto non può sottoporvi nuove questioni che non sono state oggetto di reclamo diretto al Magistrato di Sorveglianza (Sez. 1, n. 2303 del 8/10/2020, dep. 2021, Mitrean, Rv. 280229-01).

La Cassazione in seguito, poiché, secondo il ricorrente, le modalità di perquisizione attuate con l’alzata dei piedi sarebbero lesive della dignità della persona, ha posto l’attenzione sull’art. 34 Ord. Pen, secondo cui «i detenuti e gli internati possono essere sottoposti a perquisizione personale per motivi di sicurezza. La perquisizione personale deve essere effettuata nel pieno rispetto della personalità». Sulla base di ciò, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la perquisizione personale deve essere realizzata nel rispetto dei limiti e delle garanzie previste dalla Costituzione in ordine al divieto di violenza fisica e morale (art. 13, comma quarto) e di trattamenti contrari al senso di umanità (art. 27, comma terzo).

La Cassazione, inoltre, per rispondere a quanto ulteriormente dedotto dalla difesa (secondo cui la procedura tramite cui i familiari del detenuto possono accreditare somme sarebbe illegittima, prevedendo come unica modalità l’invio di un vaglia), ha sottolineato come è l’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. c) che attribuisce all’Amministrazione penitenziaria il potere di determinare, il quantum delle somme e le forme di acquisizione della disponibilità delle stesse.

Inoltre, tenendo conto in riferimento ai detenuti sottoposti a regime differenziato, secondo la Cassazione, la consegna della corrispondenza è sottoposta a uno specifico statuto: la corrispondenza non può essere veicolata tramite strumenti impropri, ad esempio, l’inserimento di contenuti comunicativi all’interno di un vaglia postale.

Il Collegio ha successivamente posto l’attenzione sull’art. 41-bis, co. 2-quater, affermando che esso, nel disciplinare la materia dei colloqui, delinea un regime più restrittivo (rispetto a quello individuato dall’art.18 Ord. Pen.) circa il numero dei colloqui, i locali in cui vengono effettuati, la loro frequenza temporale, precisando come tali limitazioni non hanno ad oggetto i colloqui con i difensori, “fatta comunque salva la possibilità che la normativa secondaria stabilisca particolari modalità di svolgimento dei colloqui con costoro”. Nel caso di specie, infatti, l’art. 16.3, circolare D.A.P., ha prescritto che il colloquio telefonico con il difensore debba avvenire presso l’istituto penitenziario più vicino al fine di identificare l’esatta identità dell’interlocutore. Tale previsione, secondo la giurisprudenza di legittimità deve ritenersi conforme  al canone di ragionevolezza, poiché l’esigenza di identificare il soggetto ammesso al colloquio potrebbe facilmente essere elusa presso lo studio del difensore, il quale, come osservato dal Tribunale di Sorveglianza, «potrebbe essere sottoposto a violenza o minaccia nel corso della telefonata per lasciare posto ad un soggetto terzo non avente titolo alla conversazione».  Allo stesso modo, ha osservato il Collegio, la limitazione alla ricezione di pacchi (prevista dalla circolare del D.A.P. 2 ottobre 2017, inerente alla disciplina applicabile ai detenuti sottoposti al regime differenziato) risulta essere conforme a quanto dettato dall’art. 41-bis Ord. Pen., laddove, al comma 2-quater, lett. g), consente la limitazione delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere ricevuti dall’esterno (così Sez. 1, n, 5523 del 9/1/2004, Aparo, Rv. 226959-01; Sez. 1, n. 37334 del :26/9/2007, Armento, in motivazione).

La Cassazione inoltre, circa la corrispondenza, ha affermato che, nel caso di specie, non sussiste alcuna violazione dell’obbligo, contemplato dal comma 7 dell’art. 18-ter, di procedere all’apertura della busta contenente la corrispondenza alla presenza del detenuto, poiché tale norma ha ad oggetto i casi previsti dalla lett. c) del comma 1 dell’art. 18-ter, ossia quelli in cui si sia proceduto al «controllo del contenuto delle buste che racchiudono la corrispondenza, senza lettura della medesima».
Nel caso di specie, invece, la corrispondenza, essendo il detenuto sottoposto al regime detentivo speciale, era soggetta al visto di censura, secondo la previsione del comma 2-quater, lett. e), dell’art. 41-bis Ord. pen.

Qui il testo della sentenza.

 

A cura di Yasmine Spigai

 

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